Da un’intervista di Manolis Baboussis a Eleana Stoikou, aprile 2024

Ε.S : Qual è stato il suo rapporto personale e la sua collaborazione con Kounellis? Qual è stato il modo in cui ha realizzato le sue opere e installazioni ?
Ho notato che lei ha realizzato ritratti di Kunellis, fotografie che evidenziano il suo lavoro, l’artista in azione sul suo lavoro. Qual è stato il suo margine d’azione

Μ.Β Il nostro rapporto è iniziato al Pireo nel 1994, quando ho fotografato per il catalogo della sua mostra sulla nave Ionio a Pireo. Sono stato selezionato dallo stesso Kounellis sulla base di un dossier che ho consegnato alla Fondazione Kostopoulos, organizzatrice della mostra, con le fotografie delle mie azioni del 1973, nei locali degli ospedali psichiatrici italiani di Volterra e Imola.
C’è stato il mio incontro con il protagonista dell’arte contemporanea.
Il nostro rapporto, direi, si basava su una ampia visione artistica estetica e politica , sulla comune attrazione per la poesia dello spazio, che nel tempo si è arricchita di nuove esperienze derivanti dal suo viaggio creativo intorno al mondo. Siamo due artisti, vissuti in Grecia e in Italia.Ben presto la nostra collaborazione si è trasformata in un’amicizia stabile e duratura.
Yannis Kounellis è stato fotografato da molte persone, a lui piaceva. Io osservavo e fotografavo il suo lavoro e l’artista nello spazio, che osservava le sue opere, se mi vedeva, decideva se posare o meno, oppure glielo proponevo io.
A volte gli suggerivo di sdraiarsi per qualche secondo davanti a un’opera, di entrare in un’opera, di fotografarsi come un’opera, e se lui faceva un azione,, sceglievo il momento, l’angolazione, l’inquadratura, il fondo, la luce e lo fotografavo.
Le fotografie del back stage catturavano gesti precisi di momenti di creazione, cogliendo il movimento prima che le opere diventassero immobili. Si riferivano a storie collaterali e ad atmosfere dell’epoca. Raffigurano l’attesa, l’energia, l’intensità della creazione, lo sforzo collettivo, la fatica. Raccontano le fasi successive dell’allestimento. Riflettono lo spazio della mostra come rifugio temporaneo, come residenza permanente e laboratorio aperto di Kοunellis, riflettono la personalità dell’artista.

Il processo creativo di ogni artista è diverso. I suoi impulsi provengono da esperienze, dalla storia, dalla memoria, da eventi attuali, da opere precedenti, in Kunellis riguardano l’uomo, la perdita, il dramma, ma provengono anche da una passeggiata in città, da una lettura, da un’immagine che può dare forma a un’opera. Credo che l’immagine per Kounellis sia rimasta importante.
Aveva una speciale capacità e facilità di vedere, in un frazione di secondo, di catturare le idee, di rilevare la totalità la struttura, l’insieme e il dettaglio. Prendeva da qualsiasi parte gli oggetti, i frammenti, i simboli che mancavano per completare la sua opera. Cercava l’unità. Decisivo fu il modo sovversivo e inventivo con cui incorporò il tutto nel linguaggio che aveva ideato per esprimere la sofferenza e la perdita della condizione umana, il suo dorico secco con sensibilità, interiorità, riverenza ed emozione.
Di solito, quando visitava uno spazio per la prima volta, prima della mostra, aveva già una o più mostre da qualche altra parte e allo stesso tempo stava sviluppando un ciclo di nuovi lavori nel suo studio. Se lo spazio era adatto, sviluppava le sue preoccupazioni attuali o si lasciava ispirare dal nuovo spazio per un progetto completamente nuovo. Lungo il percorso sceglieva quali opere vecchie o recenti far dialogare nel loro nuovo spazio. Spesso spiegava con schizzi preliminari e successivamente abbozzava le sue idee.
Ogni volta c’erano criteri e condizioni diverse, spazio, tempo, sostegno finanziario e logistico da parte di musei, gallerie e collezionisti, soprattutto quando si trattava di grandi produzioni. Posso dire che poteva funzionare con ingegno e con risorse minime, sia per una grande mostra che per il palcoscenico di un’opera.
Quando arrivava prima dell’apertura per allestire la mostra, si svegliava molto presto e ogni giorno vagava da solo per un’ora o più. Osservava la città. Al suo arrivo nello spazio espositivo vuoto, iniziava la cerimonia: prima di allestire la prima, la successiva opera, camminava incessantemente su e giù per la sala in assoluto silenzio, perso nei suoi pensieri.
Collocava le sue opere negli spazi espositivi con gli strumenti dello spazio stesso, come superficie e volume, come perimetro e altezza, come aperture e cavita , come assi e prospettiva, come un palcoscenico teatrale con le opere come protagoniste, attento al millimetro nelle proporzioni, la misura, la scala, la geometria, la verticale, l’oscillazione verticale, la linea retta, il cerchio, la diagonale, il pavimento, il peso di ogni oggetto.
Era interessato alla diluizione e all’ addensamento, al vuoto alla successione, al ritmo dello spazio e delle opere. Prediligeva l’illuminazione naturale. Stendeva con decisione il suo gesto pittorico in tre dimensioni contemporaneamente, ma anche nel tempo, nella storia.
È stato uno degli ultimi artisti classici, romantici, moderni e allo stesso tempo moderni e sovversivi del XX secolo, la cui conoscenza e il cui rispetto della tradizione gli hanno permesso di scoprire le forme del futuro. Stavo guardando, ascoltando in trasmissione diretta la storia dell’arte.
Indicava dove e come collocare le sue opere nello spazio, dopo ne le spostava, nemmeno di un centimetro.
Durante l’allestimento, pretendeva che un sacco fosse pieno di carbone, intero e non sembrasse pieno; tre treni veri che portava alla fabbrica di carri armati Leopard di Düsseldorf dovevano avere 15 vagoni ciascuno, non tre; la luce dei loro fari doveva accecare gli spettatori come quando si corre a 200 chilometri, ecc.
Posso affermare con certezza che Kounellis era lui stesso il curatore delle sue mostre, una qualità che chiunque abbia portato nelle sue esposizioni non riguardava il concetto o la selezione o l’allestimento delle opere, ma solo il testo del catalogo.

È un dato di fatto che egli teneva particolarmente alla fotografia delle sue opere, era pienamente consapevole che sarebbe passata alla storia per mostrare il suo lavoro. Si fidava solo delle fotografie stampate in bianco e nero, non dello schermo del computer, preferiva tenere le fotografie tra le mani, non credo abbia mai preso in mano una macchina fotografica.

Nelle mostre il team della struttura Kounellis era la sua compagna francese Michelle Coudray, vicina al mondo dell’Arte Povera fin dagli inizi. Era il cuore, l’anima della struttura Kounellis. Si occupava di tutta l’organizzazione, delle pubbliche relazioni, dei contatti con musei, galleristi, curatori, stampa, pubblicazioni e gestione finanziaria. Era in costante comunicazione con la sua segretaria a Roma Elisabetta Campolongo. Il suo assistente Damiano Urbani, storico dell’arte, è stato il pilastro centrale della costruzione e dell’allestimento delle opere nello spazio,.
Io dal primo momento dell’allestimento fino al giorno dell’inaugurazione sono stato un privilegiato, un “invisibile”, spettatore nel primo posto, aprivo la porta, entravo nelle opere, sceglievo per ogni opera il solo e unico punto di vista nello spazio, sceglievo l’inquadratura, l’interpretazione visiva delle opere, da quale altezza avrei meglio evidenziato il carattere, la materia, la loro voce, il dialogo di una con le altre, di ognuna con lo spazio, cosa includere o meno nell’inquadratura, come catturare senza effetti inutili, in modo oggettivo, solido, frontale, ugualmente dorico – il peso, l’equilibrio, l’essenza, la loro realtà, l’idea complessiva di ogni opera separatamente e della mostra nel suo insieme.
È stata una scommessa e come diceva Umberto Eco, per Ugo Mulas e la fotografia d’arte, “è una forza come quella del direttore d’orchestra che trasforma una lettura fedele della partitura in una creazione personale irripetibile ed esemplare”.
Ogni selezione genera un’immagine diversa, tutti fotografiamo lo stesso monumento, volto, paesaggio e poi vediamo un altro paesaggio, volto, monumento.
Quando tornavo nel mio laboratorio, sceglievo le inquadrature, poi gli scatti da stampare vedevo, nella cornice dell’immagine fotografica, le forme, le superfici, i volumi, la materia, la luce, l’oscurità, – facevo fluttuare la luce, i toni del grigio e del nero, nel loro nuovo spazio, lo spazio della carta fotografica, dove vedevo le nuove immagini create in bianco e nero del gesto originale.

“…Conosco Manolis Baboussis dal 1994, quando egli ha fotografato la  mia mostra  al cargo Ionion a Pireo.Da allora ho particolarmente stimato la sua sintetica capacita di comprendere con i mezzi fotografici e di rappresentare  il mio lavoro nello spazio approcciando la sua sostanza con perfetta tecnica e  creatività.Nei 17  questi anni di nostra continua e senza ostacoli collaborazione, ho avuto occasione di fare un idea  di Manolis Baboussis : del architetto  che conosce  l’ idea dello spazio, del uomo, del intellettuale.

Le sue immagini nascono con una chiara direzione poetica , portino le  considerazioni  di una nuova pittura  e un carattere metafisico. Ritengo che la sua opera totale ,  la sua esperienza internazionale, le sue capacita e le   ampie conoscenze di Baboussis, lo  evidenziano come un ottimo artista….”

 Jannis Kounellis Roma , 2012,